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“Il solo progresso umano possibile sta nel procedere della conoscenza del vostro destino. È l’orrore davanti la natura la quale vi minaccia continuamente, e ciecamente vi affligge e stermina, che deve essere base, ‘radice’, della giustizia e della pietà. E quest’orrore bisogna che non lo vinciate dando retta ad ingannevoli promesse; voi lo dovete provare intero e assoluto. Progredire la società umana non può che verso al verità, e la verità è questa: la morte.”

Giovanni Pascoli, La Ginestra

Il poeta che chiude la stagione poetica ottocentesca ed apre quella novecentesca, a cui le generazioni seguenti guarderanno come a maestro di poesia, imitandolo e raramente eguagliandolo, è Giovanni Pascoli, il poeta di San Mauro di Romagna. A questo poeta, scolastico quant’altri mai, nel senso che non c’è studente che nel corso degli studi non ne abbia imparato a memoria qualche poesia - anche oggi, in tempi in cui la memoria difetta a tutti non poco -, a questo poeta, dicevo, un dottore di ricerca in Italianistica dell’Università del Salento (Dipartimento di filologia, linguistica e letteratura), Andrea Carrozzini (Lecce, 1974), dedica un libro meritevole di segnalazione, dal titolo Da Myricae a Odi e inni, con sottotitolo Percorsi testuali e tematici della poesia pascoliana, Galatina, Congedo Editore 2009, pp. 269.
Il volume, avverte l’autore nella Nota introduttiva, “rientra nel panorama degli studi di carattere testuale e tematico” (p. 7), ovvero si occupa di indagare e descrivere, attraverso una disamina dei testi, i temi della poesia pascoliana. Si va dalla raccolta Myricae, studiata nelle successive stratificazioni delle varie edizioni (dal 1891 al 1900 se ne contano ben cinque), ai Canti di Castelvecchio (1903), dai Poemi conviviali (1904) ai Primi poemetti (1904) a Odi e inni (1906); e poi ancora i Nuovi poemetti (1909), i Poemi italici (1911) e i Poemi del Risorgimento (usciti postumi nel 1913; senza dimenticare i testi in prosa, che accompagnano a guisa di commento esegetico la poesia pascoliana, Il fanciullino in primis, e poi i saggi su Dante e Leopardi, autore, quest’ultimo, che funge da vera cartina di tornasole per comprendere le scelte di poetica di Pascoli.
Al centro v’è il dramma della vicenda familiare, con l’assassinio il 10 agosto 1867 del padre Ruggero (chi non ricorda i celebri versi “Ritornava una rondine al tetto: / l’uccisero: cadde tra spini: / ella aveva nel becco un insetto: / la cena dei suoi rondinini”, nel X Agosto di Myricae, oppure “O cavallina, cavallina storna, / che portavi colui che non ritorna” ne La cavalla storna dei Canti di Castelvecchio), cui seguì la morte della madre e quella di una sorella e di un fratello; la caduta, dunque, dopo un stato di prosperità e di benessere, in uno stato di infelicità e povertà. Ma la vera poesia pascoliana non è mero dato biografico, sia pure rivissuto e interpretato in chiave di dolore universale, bensì originale visione del mondo, che Carrozzini si incarica di ricostruire dettagliatamente, testo dopo testo, rinvenendo temi e motivi ricorrenti, e seguendoli nella loro evoluzione semantica. Emerge un Pascoli caratterizzato da una sensibilità molto vicina alla nostra, che non ha nulla di intimistico (come si è spesso voluto far credere), un Pascoli che parla con i morti del mistero della vita e riferisce a noi nella forma del frammento, corrispondente, come ebbe a scrivere Mario Pazzaglia, citato da Carrozzini, “a un modo inedito di vedere e vivere il mondo: l’unico concesso in un universo senza più direzioni” (p. 27). Un Pascoli, dunque, alla ricerca quasi disperata di risposte a domande impossibili, che azzarda uno sguardo sul mistero del mondo, definito, nella già citata poesia dal titolo X agosto, “quest’atomo opaco del Male!”, un Pascoli per certi versi interprete e continuatore di Giacomo Leopardi, “il poeta del dolore”, cui egli dedicò non poche cure esegetiche; questo è il poeta di cui Carrozzini descrive l’opera e che ci affascina ancor oggi con le sue riflessioni riguardanti da vicino la nostra esistenza. Si pensi alla morte che “da una parte rappresenta, scrive Carrozzini, pur sempre un evento tragico, di totale disfacimento e di annullamento, dall’altra appare un fatto inscritto nelle cose e nella vicenda ciclica della natura, come la vita” (p. 93); o si leggano le bellissime pagine che l’autore di questo libro dedica al Ciocco dei Canti di Castelvecchio, sotto il titolo Visioni del cosmo: il Ciocco (pp. 100-108), in cui il motivo della contemplazione astrale, sempre ben presente nell’opera pascoliana, innesca un “parallelismo più diretto tra la sorte degli insetti e quella degli uomini, i quali, non diversamente dalle formiche, nascono e muoiono sotto lo sguardo indifferente e imperturbabile di qualche remota divinità” (p. 103). Come non pensare, ancora una volta, a Leopardi? E in effetti Carrozzini dedica al confronto Pascoli-Leopardi non poche pagine (Tra poesia e ideologia: i saggi su Leopardi e i Primi poemetti, pp. 171-230). “Le due esperienze poetiche, quella leopardiana e quella pascoliana, sembrano condividere lo stesso percorso” (p. 174); eppure, a differenza del Recanatese, per il quale la natura rimane unica dispensatrice di pena, per Pascoli essa è la via per “giungere alla serena accettazione della vita” (p. 183). Per questo la poesia, di fronte alla desolazione arrecata dalla morte, è motivo di conforto per gli uomini e in più è considerata da Pascoli “come l’unica occasione concessa di riaffermare la vita” (p. 133), scrive Carrozzini. Egli individua in Pascoli I caratteri di una poetica ideologica-parenetica, ovvero il risultato cui perviene la ricerca poetica pascoliana, che dalla considerazione della morte passa all’esortazione degli uomini. Il poeta si rivolge a tutti gli uomini con l’intento di fare dell’uomo un homo humanus: “dopo il sentimento della morte e quindi dopo il riconoscimento della finitezza dell’individuo umano, scrive Carrozzini, vi è l’idea di una nuova società che fondi i suoi presupposti sull’amore e sulla solidarietà” (p. 256).
Insomma, c’è in Pascoli una tensione utopica verso un futuro di pace e di amore, che la poesia si assume il compito di anticipare e di additare all’uomo come unico destino possibile. Per Carrozzini, è questo l’approdo ultimo del poeta di San Mauro, coerente con tutta la sua ricerca, di cui egli ha rintracciato, passando in rassegna l’intera opera, i “presupposti stilistici, tematici e ideologici” (p. 262). Un approdo facile, si potrebbe dire, se non sapessimo quale retroterra esso nasconde. Pertanto, a conclusione del libro, il lettore non dimentichi la critica forte all’idea di progresso che sta dietro gli sviluppi finali dell’opera pascoliana. “Il solo progresso umano possibile sta nel procedere della conoscenza del vostro destino. È l’orrore davanti la natura la quale vi minaccia continuamente, e ciecamente vi affligge e stermina, che deve essere base, ‘radice’, della giustizia e della pietà. E quest’orrore bisogna che non lo vinciate dando retta ad ingannevoli promesse; voi lo dovete provare intero e assoluto. Progredire la società umana non può che verso al verità, e la verità è questa: la morte” La Ginestra.
Parole sante, quanto mai attuali, e che sempre dovremmo ripetere a noi stessi per resistere alle “ingannevoli promesse” del mondo attuale. Gianluca Virgilio